Transizione, come?

Antonio Santangelo • gen 13, 2022

Antonio Santangelo

Il 2020 ha rappresentato la presa di coscienza a livello internazionale della insostenibilità del modello di sviluppo prevalente. Il 2021 sarà probabilmente ricordato come l’anno della transizione.
Il 2022 si può vedere come l’anno della reazione, della ripresa.

L’Italia ha ben reagito, dimostrando di avere una struttura industriale capace di grande resilienza, facendo del Made in Italy e dei suoi prodotti un elemento di forza che ha qualificato la nostra economia tra le più reattive, prima in Europa per risultati e a livello internazionale per export.

Ma la chiusura dell’anno è meno entusiasmante, perché la violenza della ripresa, a livello globale, ha generato contraccolpi molto forti che ne mettono in dubbio se non la durata, la qualità e l’essenza.

L’enorme crescita dei prezzi di materie prime, logistica, energia, ha preoccupato soprattutto l’America e le sue istituzioni finanziarie, ma genera riflessione anche in Europa e forti preoccupazioni per alcuni settori dell’economia. La scarsità di offerta di lavoro, con la sua doppia caratteristica di rifiuto di bassi salari per le prestazioni più operative e profondo disallineamento di competenze utili alla transizione verso un’economia più sostenibile, hanno rese più incerte le prospettive per il futuro.


Si delinea perciò un domani in cui siamo obbligati alla transizione ambientale, utilizzando tutte le potenzialità delle tecnologie digitali; ma ciò che deciderà gli esiti di un sfida sul futuro saranno le condizioni concrete con cui sapremo realizzarla. Decisivo sarà, più del cosa, il come.

L’energia è uno dei fattori dirimenti: la sua qualità, la sua produzione, la sua distribuzione. L’energia assume una importanza cruciale per lo sviluppo di tutta l’economia; le perturbazioni che stanno vivendo i mercati internazionali evidenziano la necessità di “una transizione ordinata”, come ha indicato un report McKinsey dell’ottobre 2021 (a). Per la prima volta, dalla rivoluzione industriale, il mondo si confronta con una possibile scarsità di energia. 


Transizione ordinata implica un attento bilanciamento tra l’implementazione di attività a bassa emissione e un rallentamento di quelle ad alta emissione, supportato da misure di resilienza e ridondanza adeguate. Infatti, il passaggio dalle une alle altre implica un intervento innovativo sui sistemi che impattano sul nostro benessere e sulle nostre abitudini quotidiane.

McKinsey ha selezionato 9 requisiti/fattori che devono essere tenuti sotto controllo per poter realizzare la transizione in modo da evitare squilibri pericolosi, raggruppati in tre categorie:

  • Elementi costitutivi fisici, (1) innovazione tecnologica, (2) creazione di catene di approvvigionamento e infrastrutture di supporto su larga scala, (3) disponibilità delle risorse energetiche.
  • Azioni economiche e sociali, (4) efficace riallocazione del capitale e strutture di finanziamento, (5) gestione di cambiamenti della domanda e aumenti dei costi unitari a breve, (6) meccanismi di compensazione per affrontare gli impatti socioeconomici.
  • Policy pubbliche, istituzioni e impegno, (7) standard di governo, monitoraggio e meccanismi di mercato e istituzioni efficaci, (8) impegno e collaborazione tra i leader del settore pubblico, privato e sociale a livello globale; (9) sostegno da parte di cittadini e consumatori.


L’elenco restituisce un’idea della complessità dell’approccio alla sostenibilità; occorre tener presente che l’obiettivo va perseguito a livello nazionale, ma tenendo conto del contesto globale.

Non sfugge infatti, se si considera l’attuale difficoltà sul piano dell’energia, la delicatezza delle tematiche geopolitiche: dipendenza dell’Europa, in particolare della Germania, dal gas russo (apertura di Northstream 2 e opposizione americana), concorrenza della domanda cinese alle prese con la riduzione del carbone, contrasto di interessi in Europa tra Francia e Germania, principalmente, sul nucleare).

In Europa, appunto, il fattore tempo gioca un ruolo essenziale: Fit for 55, e più in generale la strategia Green deal, hanno individuato traguardi molto ambiziosi:

  • Riduzione del 40% delle emissioni di gas serra (rispetto al 1990)
  • Raggiungimento di una quota di almeno 32% di energie rinnovabili
  • Raggiungimento di una quota del 32,5% di efficienza energetica 
  • Raggiungimento di zero emissioni al 2050


Agli aspetti geopolitici si aggiungono poi le diverse situazioni degli Stati Membri, con livelli di utilizzo di carbone, petrolio, gas molto diversi tra loro, che impongono scelte equilibrate e che possono sembrare contraddittorie: nella tassonomia verde europea tra le attività sostenibili (quindi finanziabili) ci sono nucleare e gas per la produzione elettrica, ma non quello per la trasformazione industriale. Ora, la nostra industria dipende principalmente da questo, e saremmo penalizzati in quanto sull’energia siamo mediamente più green della media europea, quindi saremmo fortemente penalizzati anche rispetto ai concorrenti europei.

Già ora, l’aumento vertiginoso del prezzo del gas rischia di mettere fuori mercato le cosiddette industrie energivore: acciaio, vetro, plastica, carta.

La variabile più critica dell’operazione è il tempo: i traguardi UE sono tra 9 (2030) e 29 anni (2050). Sono tempi ristrettissimi, la storia ci dice che le transizioni energetiche hanno sempre richiesto tempi molto dilatati. Il report del Club di Roma che ha lanciato l’allarme sui pericoli ambientali derivanti dalle energie fossili e sul loro esaurimento è del 1972, e ci sono voluti 50 anni perché alcune delle sue assunzioni si imponessero all’attenzione dei governi: nel frattempo la quota di fonti fossili sul totale dell’offerta mondiale di energia è passata dal 93,7 per cento del 1965 all’84,3 per cento nel 2020, solo meno di 10 punti percentuali in oltre mezzo secolo.

Ora ci muoviamo con limiti di tempo infinitamente più ridotti.


Queste considerazioni non ci devono rallentare, devono anzi spingerci a correre più velocemente di quanto stiamo facendo, in particolare sul piano della gestione condivisione della conoscenza. Il tema delle risorse umane e della formazione sono strategici. Già ora, all’inizio delle due transizioni, nel mondo e in Italia registriamo un forte disallineamento tra competenze rese disponibili dal sistema dell’istruzione e della formazione e le necessità dell’economia. La ricerca e la formazione ci devono aiutare a produrre e ottenere prodotti ecosostenibili, andando al di là delle guerre ideologiche sulle energie disponibili. Occorre cioè individuare processi rispettosi dell’ambiente, con minori consumi di acqua, minore inquinamento, maggior circolarità di rifiuti e scarti; al contempo dobbiamo ottenere beni o servizi rispettosi dell’ambiente, utilizzando energie alternative, trasporti ecosostenibili, basso impatto ambientale.

L’obiettivo è salvare l’ambiente riducendo al minimo i costi sociali della transizione.


Note
(a) Solving the net-zero equation: Nine requirements for a more orderly transition; McKinsey: Mekala Krishnan, Tomas Nauclér, Daniel Pacthod, Hamid Samandari, Humayun Tai, Dickon Pinner, Sven Smit is a senior partner in the Amsterdam office, 27/10/2021.

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